AutunnoGustave Flaubert mi ricorda che siamo entrati nella “stagione che si addice ai ricordi”. Sono i mesi che salutano il caldo e accolgono chi ama la montagna.  


Le mie montagne sono gli Appennini, un luogo denso. 

Le parole dell’antica Grecia, tra i profumi del muschio e i frutti della Natura, trovano spazio qui. I ricordi: è il nostos, il viaggio di ritorno a casa, nella mia patria. Nella mia matria, la patria-mamma. 

Il bosco è un paradiso: si cammina piano, e si guarda la terra. Lo sguardo è sempre rivolto lì. Il bosco in questa stagione è un inno alla lentezza, allo sfogliare quei ricordi amati da Flaubert. 

La Natura non chiede mai: dona. Dona i suoi frutti: erbe, funghi, bacche. Mi muovo tra le felci, senza fretta. Avvicino il naso a un fiore, appoggio le dita sul muschio, le sfrego sulla corteccia di un castagno, ascolto i richiami degli uccelli. Attraverso il bosco e i suoi segreti con passo sicuro, al ritmo confuso di un cuore grande ma malandato. Forse mi dovrei fermare. Se dovesse incepparsi di nuovo, vorrei che fosse qui.

Tra i sassi e le foglie del sentiero, un cerbiatto e una lepre, poco più in là, osservano immobili, con il muso inclinato, il divenire. Per qualche istante, gli sguardi incerti s’incrociano come in una scena del vecchio West, una di quelle fra buoni e cattivi. 

La Natura, come ricorda Il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, ha bisogno di riti. E io, che la vivo da oltre 70 anni, accolgo queste sue parole che non hanno scrittura né suono: è un dialogo silenzioso, fatto di gentilezza, di profondo rispetto. 

I suoi frutti, per essere raccolti, chiedono un inchino. 

È un gesto che nasce in mezzo al verde, al giallo e al marrone. E che, dopo un lungo camminare, mi sussurra una parola greca: algos. Sento il desiderio di fare ritorno. Ritorno alla mia città, Forlì. Quel rito iniziato in quota scende a livello del mare, ai miei affetti. A mia figlia. 

Il mio rito - che oggi viene accompagnato da un bastone di legno, un sostegno naturale che mi sa dare equilibrio - è raccolto in un cestino di funghi, mirtilli, ribes, more e lamponi. Sono i sapori della vita che non ha fretta. Sono le parole che non ho mai detto. 

Nella stagione che “si addice ai ricordi”, vorrei raccontare ancora una volta a mia figlia una fiaba: quella di Pollicino. 

Al posto delle briciole di pane, ci saranno queste lacrime rosse e nere, e questi profumi. Vorrei che le indicassero la direzione. Vorrei che la accompagnassero verso la sua casa, il suo domani…


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Progetto a cura di Francesca Garavini
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